Ne ho parlato e ne parlo talmente tanto che mi sembra quasi strano non scriverne anche qui. L’unica vera differenza è che ne parlo con persone che hanno studiato cinema o veri e propri appassionati del genere, mai con spettatori occasionali. Ed è proprio per questi ultimi che ho pensato di scrivere questo testo, mi piacerebbe che chiunque, anche solo un semplice curioso, sia in grado di apprezzare Halloween del 1978 di John Howard Carpenter, che spesso è considerato semplicemente come uno slasher1 riuscito su un serial killer mascherato. Un buon film in quel senso è invece il remake di Rob Zombie del 2007.
Tralasciando le differenze tra i due, di cui magari potrei occuparmi più avanti, ci tengo a sottolineare alcune caratteristiche che rendono il film di Carpenter un capolavoro, non solo del suo genere. A mio giudizio ci sono almeno tre elementi su cui vale la pena riflettere se si vuole capire meglio il film
Il primo da tenere bene a mente è che Michael Myers rappresenta il male assoluto, nient’altro che quello. Quindi è inutile pensare a che tipo di traumi possa avere avuto da piccolo per diventare così, se sia colpa della società o della famiglia, la risposta è sempre la stessa: non importa. Lui è il male ed è semplicemente nato così. Non bisogna mai dimenticarselo, perché il film, non spiegando le motivazioni, rende il male incontrollabile e imprevedibile, quindi lo spettatore si trova davanti a qualcosa che è sempre presente e di cui non conosce le origini, l’unica cosa che sa è che esiste.
Secondo, il male colpisce proprio dove meno ce lo si aspetta, nella fattispecie nella vita di quelle adolescenti che per tirare su qualche soldo lavorano come babysitter. Michael Myers le uccide in modo indistinto, non fa discriminazioni di nessun tipo, ognuna viene colpita allo stesso modo. Anche se negli anni si è speculato molto sul rapporto (che molti hanno visto presente nel film) che intercorre tra l’ordine delle morti e la moralità di chi ne è colpito, tanto che negli slasher successivi si è diffusa l’indubbia tendenza a eliminare prima i personaggi più moralmente discutibili. Carpenter, per quanto riguarda il suo film, ha sempre rifiutato questo genere di analisi, quindi mi sentirei di escluderlo anche io, in particolare per quello che il lungometraggio vuole, a mio avviso, comunicare.
Ultimo elemento a cui non si fa mai molto caso, eppure per me è la chiave interpretativa del film, è il vento. Oltre che a creare un’atmosfera sinistra anche in pieno giorno — cosa non da poco se si pensa alla difficoltà di rendere inquietanti dei pomeriggi di sole in California —, fa percepire la presenza di Michael Myers, che è ovunque, in ogni luogo, aleggia sulle sue vittime come una spada di Damocle. Ed è, inoltre, l’elemento che chiude il film, perché il male, come il vento, non si esaurirà mai, non può morire. Gli unici elementi che possono morire sono le persone, che contengono entrambi gli assoluti (il bene e il male), infatti nessuno dei personaggi all’interno del film rappresenta entrambi gli assoluti, a parte Michael Myers, appunto. L’assoluto è immortale, è sempre esistito e sempre esisterà, come il giorno e la notte.
Dopo queste parole, paradossalmente, non consiglio a nessuno di vederlo o di rivederlo a prescindere, ma solo se si è anche solo incuriositi da questi aspetti, perché il film è sempre lo stesso, l’unica cosa che potrebbe cambiare è la nostra percezione.
È un sottogenere dell’horror incentrato sulla figura di un assassino seriale che uccide le sue vittime utilizzando armi da taglio o lame. Generalmente è ambientato in luoghi in cui le vittime non possono scappare.